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Historia Magistra Marketing

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Pubblicato 2 anni fa

Giovanni Criscione – Inpress

«O ti distingui o ti estingui!».
Quante volte, noi professionisti o imprenditori, ce lo siamo sentiti ripetere nei corsi di Marketing? Non so voi, ma io ogni volta che sento pronunciare quelle parole provo un brivido freddo lungo la schiena.

Quante volte, noi professionisti o imprenditori, ce lo siamo sentiti ripetere nei corsi di Marketing? Non so voi, ma io ogni volta che sento pronunciare quelle parole provo un brivido freddo lungo la schiena.

La lotta per la sopravvivenza è un argomento che mi mette da sempre una certa pressione addosso e mi crea un po’ di apprensione. 

Sarà per via del cervello rettiliano che si nasconde da qualche parte nella mia scatola cranica. Lui di estinzione se ne intende. Resta il fatto che distinguersi dalla concorrenza è più facile a dirsi che a farsi.

I guru del Marketing hanno sentenziato che le famose “P” non bastano più. Serve qualcos’altro. Qualcosa di unico, di straordinario, che salti subito all’occhio staccandosi dal panorama circostante. 

Un po’ come la Mucca viola di cui discute Seth Godin in un celebre libro. Già riuscire a distinguersi tra tante aziende simili è un’impresa ardua. 

Ma, quand’anche ci riuscissimo, non saremmo al riparo dalla concorrenza. 

O almeno, non a lungo. 

I competitors non ci daranno tregua, ci rincorreranno, ci raggiungeranno e ci supereranno. E infine ci copieranno l’idea e la miglioreranno. 

Possiamo starne certi.

E a noi non resterà che ricominciare daccapo la ricerca di un elemento distintivo. Avete presente Sisifo che spinge il masso lungo il pendio del monte finché, giunto in cima, il masso rotola di nuovo in basso e il poveretto è costretto a ricominciare? 

Ecco, la stessa fatica.

Da tempo andavo alla ricerca di un elemento di distinzione che fosse perenne, inimitabile, resistente alle crisi. Finalmente posso dire di averlo trovato. 

È accaduto quasi dieci anni fa ed è stata una scoperta sorprendente. A volte abbiamo le soluzioni davanti agli occhi e non le vediamo. Quello che cercavo stava proprio davanti a me, era lì da sempre, ma non me ne ero mai accorto. 

Volete sapete cos’era?

La storia. Sì, proprio la storia. Non quella che si studia a scuola. La nostra e la vostra storia come imprenditori, la storia del brand che avete creato o che avete contribuito a far crescere. Ecco, proprio quella. Fateci caso. Ognuno di noi ha una sua storia. 

C’è chi ha costruito l’azienda da zero. E chi, invece, l’ha ereditata dal padre o dal nonno. C’è chi è stato assunto come operaio e poi ha rilevato l’azienda. E chi ha lasciato un posto da dipendente pubblico o privato per investire in un’attività propria. 

Già a un livello di prima approssimazione, i percorsi imprenditoriali appaiono vari e diversi. Se poi si scende nel dettaglio per indagare il background familiare, la provenienza sociale, l’apprendistato professionale, le sfide affrontate, i traguardi ottenuti, i compagni di viaggio, ecc., allora si comprende come la storia di ognuno sia unica, inimitabile, profondamente diversa da quella degli altri. E come tale, non può essere copiata. Non solo. Nessuno ce la può togliere. Neanche la crisi o il Covid-19. 

Fantastico, no?

Il potenziale delle “nostre” storie come elemento distintivo è enorme. 

Come sfruttarlo concretamente? 

È qui che entra in gioco l’Heritage Marketing, una branca del Marketing che fa leva sull’eredità storica, materiale e immateriale (Heritage), delle imprese e degli imprenditori per costruire degli strumenti di differenziazione competitiva. 

L’Heritage Marketing è nato negli anni Sessanta in un ambito, quello anglo-americano, che ha prodotto forse le maggiori innovazioni nel campo delle tecniche di comunicazione e di vendita. 

Non a caso i modelli di riferimento provengono dal contesto anglosassone e americano, dove lo sviluppo della disciplina ha dato vita ad agenzie professionali specializzate e a una ricca letteratura di settore.

In Italia l’Heritage Marketing è arrivato negli anni Novanta. Un ritardo, questo, dovuto non soltanto a fattori storico-culturali ed economici, ma anche a motivi psicologici. Mentre nel Nuovo Mondo, la storicità delle aziende si collegava al bisogno sociale d’identità e di radicamento nel tempo, al contrario in Italia si voleva voltare pagina e nascondere il passato (gli anni bui del fascismo, la povertà seguita alla guerra) per valorizzare tutto ciò che era nuovo.

Ma una volta introdotto nel nostro Paese, l’Heritage Marketing si è subito diffuso in maniera capillare. Se nel bar sotto casa o nel panificio all’angolo, trovate le diciture “Dal 1968” o “Da tre generazioni” sotto l’insegna, sappiate che quello è Heritage Marketing

Non vi dà un senso di sicurezza e affidabilità il fatto di sapere che quel negozio sta lì da prima che nasceste e che tre generazioni di fornai si sono tramandati il segreto dei migliori impasti per gli sfarinati? 

Del resto, se da così tanto tempo stanno sul mercato vuol dire che sono i più bravi nel loro settore, che meglio di altri hanno saputo adattarsi ai cambiamenti. Se così non fosse, avrebbero abbassato la saracinesca da tempo. Magari la prossima volta, entriamo e compriamo qualcosa per sincerarcene. 

Vedete come l’Heritage Marketing comincia già a fare effetto? È bastata una semplice indicazione cronologica per suscitare pensieri simili a questi.

Tra gli strumenti dell’Heritage Marketing, si possono citare, oltre alla iscrizione della data fondativa nella grafica del marchio aziendale, gli anniversari aziendali, i musei e gli archivi storici d’impresa, le campagne pubblicitarie incentrate sulle tradizioni storiche, la riedizione di prodotti del passato, la pubblicazioni di libri d’impresa, ma la gamma è davvero ampia. 

Per chi volesse approfondire l’argomento, esistono decine di libri e manuali. Personalmente vi consiglio quello di Marco Montemaggi e Fabio Severino (Heritage Marketing. La storia dell’impresa italiana come vantaggio competitivo, Franco Angeli, 2007), un po’ datato ma sempre utile e chiaro.

La mia storia imprenditoriale è singolare (ma, per quello che ci siamo detti, sono certo che lo è anche la vostra). Ho cominciato avendo alle spalle studi umanistici ed esperienze giornalistiche, zero capitali e nessuna competenza aziendale. Per cui ho capito che avrei potuto utilizzare quelle competenze per scrivere libri e raccontare la storia di imprenditori più longevi e più bravi di me. 

E da dieci anni circa con i miei collaboratori svolgiamo questo lavoro di Heritage Marketing con grande soddisfazione, nostra e dei clienti. Abbiamo scritto libri per aziende dolciarie, istituti di credito, società di consulenza, imprese di lavorazione del marmo, ecc..  

Vediamo, in particolare, cosa sono i libri d’impresa, come si costruiscono e a cosa servono.

Sono libri, frutto di una vera e propria indagine storico-documentale e archivistica, che raccontano le storie di imprese e di famiglie di imprenditori, con un ricco corredo di immagini ripescate dagli album dei ricordi o dai vecchi campionari.

Questi libri si costruiscono compulsando faldoni polverosi e documenti ingialliti, dimenticati negli Archivi di Stato e negli Archivi Notarili, nelle Camere di Commercio, nelle biblioteche e nelle emeroteche cittadine, oltre che le carte familiari e aziendali. Certo, i libri in mancanza di fonti documentali si fanno anche (ma meno bene) con le interviste a clienti, dipendenti e imprenditori. 

Tuttavia, solo lo scavo archivistico alla ricerca delle fonti storiche può conferire al testo quella necessaria oggettività che aumenta il valore del lavoro. 

Un libro aziendale, qualche sospetto di parzialità o di faziosità, nel lettore lo suscita. Proprio per questo, c’è bisogno di quella patente di oggettività che solo i documenti e la ricerca storica possono attribuirgli. Per lo stesso motivo, vi sconsiglio di scriverlo direttamente o di affidarlo a figure interne all’azienda. 

Non sareste considerati imparziali né oggettivi nel narrare una storia che vi riguarda da vicino. Meglio commissionarlo a un professionista esterno, con competenze storico-archivistiche. Anche perché un lavoro simile richiede molto tempo: il tempo della ricerca, quello del pensiero e della scrittura, per tacere delle fasi di editing e revisione. 

Quando il libro con la nostra storia, la storia della nostra famiglia o della nostra azienda, finalmente sarà pronto, si apriranno diversi scenari. Il libro è una potente risorsa relazionale. Potremo sostituirlo al nostro biglietto da visita nelle fiere e negli incontri con altri imprenditori, farne un cadeau per i nostri migliori clienti, per i fornitori o per i partner commerciali o istituzionali. 

Il libro facilita il posizionamento del marchio in termini di autenticità e difesa da fenomeni di imitazione, contraffazione e competizione. Potremo utilizzarlo per presentazioni, relazioni con i media, eventi. Immaginate cosa potrebbe succedere se inviaste una copia alle redazioni dei quotidiani, delle televisioni e dei siti web di notizie. 

Di quanto migliorerebbe la vostra reputazione sui media? 

Pensate a una presentazione affollata (magari quando avremo sconfitto il Covid), con intellettuali, giornalisti, autorità che ascoltano con attenzione il relatore. Il quale, sulla base il libro, racconta la storia della vostra azienda. 

Quale impatto avrebbe tutto ciò sulla comunità locale e sull’opinione pubblica? Il libro riporta in copertina il nostro logo, il nome della nostra impresa, per cui anche se sta dietro la vetrina di una libreria del centro per qualche settimana, già ci sta facendo pubblicità gratuita.

Oppure potremo scegliere di monetizzare il libro, vendendolo come prodotto a se stante o in abbinamento ad altri articoli. Al consumatore piace conoscere la storia di chi ha confezionato il prodotto che ha scelto e che sente “suo”. Consiglio anche di donare una copia alla biblioteca pubblica della propria città, così che il libro diventi patrimonio di tutti. 

Chi vorrà leggerlo, potrà trovarlo lì, anche fra vent’anni. E statene certi, nessuno potrà copiarlo.

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